domenica 16 Febbraio 2020
Smart in the City

A proposito di Charlie

di Antonella Cicalò

12 Lug 2017

Un nome che ricorre tra un destino e l'altro

Era il 1973 quando Revlon lancia Charlie, un profumo che segna un salto nel costume femminile. Giovani donne in pantaloni si impossessano di una nuova femminilità attiva e consapevole, ben lontana dagli stereotipi della maliarda iperseduttiva o della ragazza acqua e sapone della porta accanto. Sono gli anni dei grandi referendum di costume (divorzio, aborto) e la scia di Charlie aleggia grintosa negli uffici e sui mezzi pubblici, dove le donne fanno la spola per inventarsi un’altra vita.

È il 7 gennaio 2015 quando a Parigi un commando irrompe nella sede del settimanale satirico francese Charlie Hebdo. Qualche hanno prima, fedele all’intento prioritario della testata della difesa delle libertà individuali, civili e collettive, a partire dal diritto alla libertà d’espressione, erano apparse alcune vignette satiriche sul profeta Maometto. La tutela della libertà dell’individuo non profuma più di fiori e legni muschiati, ma di cordite e sangue.

Oggi è la volta del Piccolo Charlie, divenuto suo malgrado simbolo di un diritto (quello di vivere a ogni costo), ma totalmente privo di qualsiasi voce in capitolo su una questione ineludibile: se invocarlo o meno questo diritto. Sfugge al  momento il senso intimo di questa battaglia, sfugge il silenzio che avrebbe dovuto circondare il dramma del bimbo inglese, sfugge la speranza, sfugge la rassegnazione.

Possiamo solo augurarci che il destino riservi al nome Charlie una nuova opportunità: magari si chiamerà così un trattato di pace, un’opera d’arte, una rarità botanica senza pari o, perché no, una cura.

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